Discutere del problema dell’Aids dalle redazioni dei giornali o dagli uffici politici delle varie istituzioni europee è una cosa; parlarne avendo negli occhi la situazione di decine di donne sieropositive, e dei loro figli che hanno preso il contagio, è tutt’altro affare. Rose Busingye dirige il Meeting Point di Kampala, un luogo di rinascita per 4 mila persone, tra malati e orfani, altrimenti condannate a vivere nel silenzio e nell’abbandono il loro destino di marchiate dall’Hiv.
In questo luogo di intensa umanità, le polemiche sull’uso del preservativo per abbattere il flagello dell’Aids giungono come un’eco lontana.
Rose, che effetto le fa sentire tante voci polemiche intorno a un problema col quale lei lotta ogni giorno?
Chi alimenta la polemica intorno alle dichiarazioni del Papa deve in realtà capire che il vero problema della diffusione dell’Aids non è il preservativo; parlare di questo significa fermarsi alle conseguenze e non andare mai all’origine del problema. Alla radice della diffusione dell’Hiv c’è un comportamento, c’è un modo di essere. E poi non dimentichiamo che la grande emergenza è prendersi cura delle tante persone che hanno già contratto la malattia, e per quelle il preservativo non serve.
Però resta il fatto che comunque si può fare qualcosa per evitare che il contagio si diffonda ulteriormente: in questo caso la prevenzione non è uno strumento utile?
Riporto un esempio, per far capire come veramente a volte non ci si rende conto della situazione in cui viviamo qui in Africa. Un po’ di tempo fa erano venuti alcuni giornalisti per fare un reportage sull’attività del Meeting Point: videro la condizione delle donne sieropositive che sono qui, e rimasero commossi. Decisero allora di rendersi utili, facendo un piccolo gesto per loro: regalarono alcune scatole di preservativi. Vedendo questo, una delle nostre donne, Jovine, li guardò e disse: «Mio marito sta morendo, e ho sei figli che tra poco saranno orfani: a cosa mi servono queste scatole che voi mi date?». L’emergenza di quella donna, e di tantissime altre come lei, è avere qualcuno che la guardi e le dica: «donna, non piangere!». È assurdo pensare di rispondere al suo bisogno con una scatola di preservativi, e l’assurdità è nel non vedere che l’uomo è amore, è affettività.
E per quanto riguarda invece le persone che possono avere rapporti con altre e diffondere il contagio?
Anche lì vale lo stesso discorso: bisogna innanzitutto guardare la loro umanità. Una volta stavamo parlando ai nostri ragazzi dell’importanza di proteggere gli altri, di evitare il contagio; uno di loro si mise a ridere, dicendo: «ma cosa me ne importa, chi sono gli altri? Chi sono le donne con cui vado?». E un altro diceva: «anch’io sono stato infettato, e allora?». L’Aids è un problema come tutti i problemi della vita, che non si può ridurre a un particolare. Bisogna innanzitutto partire dal fatto che bisogna essere educati, anche nel vivere la sessualità. Ma l’educazione riguarda innanzitutto la scoperta di sé stessi: la persona che è cosciente di sé, sa che ha un valore che è più grande di tutto. Senza la scoperta di questo valore – di sé e degli altri – non c’è nulla che tenga. Anche il preservativo, alla fine, può essere usato bene solo da una persona che abbia scoperto qual è il valore dell’umano, se ama veramente, e se è amato. Si pensa forse che dove il preservativo viene distribuito non prosegua il contagio dell’Aids? E poi in certi casi il discorso del preservativo, nelle condizioni in cui ci troviamo, può sembrare a tratti anche ridicolo.
In che senso?
Pochi giorni fa, ad esempio, abbiamo fatto vedere alle nostro donne che cos’è il preservativo, spiegando anche le istruzioni per l’uso: prima di usarlo bisogna lavarsi le mani, non ci deve essere polvere, deve essere conservato a una certa temperatura. Sono state loro stesse a interrompermi: lavarsi le mani, quando per avere un po’ d’acqua dobbiamo fare venti chilometri a piedi? E poi la polvere: anche qualche granello può essere pericoloso e rischiare di strappare il preservativo. Ma queste donne spaccano le pietre dalla mattina alla sera, e hanno la pelle delle mani screpolata e dura come la roccia! Per questo dico che si parla senza minimamente conoscere il problema e la condizione in cui ci troviamo.
Alla luce di questa diffusa ignoranza riguardo ai problemi reali della gente che vive in Africa, che effetto le fanno le polemiche contro il Papa?
Il Papa non fa altro che difendere e sostenere proprio quello che serve per aiutare questa gente: affermare il significato della vita e la dignità dell’essere umano. Quelli che lo attaccano hanno interessi da difendere, mentre il Papa di interessi non ne ha: ci vuole bene, e vuole il bene dell’Africa. Da lui non arrivano le mine che fanno saltare per aria i nostri ragazzi, i nostri bambini che fanno i soldati, che si trovano amputati, senza orecchie, senza bocca, incapaci di deglutire la saliva: e a loro cosa diamo, i preservativi?
In effetti l’Aids non è certo l’unico problema che attanaglia l’Africa.
Ci sono moltissimi altri problemi e situazioni tragiche su cui c’è totale indifferenza. Quando qualche anno fa c’è stato il genocidio del Ruanda tutti stavano a guardare. Qui vicino c’è un paese piccolissimo, che poteva essere protetto, e non si è fatto nulla: lì c’erano i miei parenti, e sono morti tutti in modo disumano. Non si è mosso nessuno, e adesso vengono qui con i preservativi. Ma anche a livello di malattie vale lo stesso discorso: perché non ci portano le aspirine, o le medicine anti-malaria? La malaria è una malattia che qui miete più vittime rispetto all’Aids.
Qual è la situazione ora in Uganda riguardo alla diffusione dell’Aids?
In Uganda si stanno facendo grandi progressi, e il nostro presidente sta operando benissimo e ottenendo ottimi risultati. E il suo metodo non è puntare sulla diffusione dei preservativi, ma sull’educazione: ha istituito un ministero per questo, e ha mandato la gente in giro, nei villaggi di analfabeti per educarli a un cambiamento della vita. La moglie del presidente è stata qui da noi poco tempo fa, e ha detto con forza che il vero punto che può far cambiare la situazione è smettere di vivere come i cani o i gatti, che devono sempre soddisfare i loro istinti; e ha parlato del fatto che l’uomo è dotato di ragione, che lo rende responsabile di quello che fa. Se l’uomo rimane legato all’istinto come un animale, dargli un preservativo non serve a nulla. Questo è il metodo che sta dando risultati, e ha portato la diffusione dell’Aids in Uganda dal 18% della popolazione al 3%. Il metodo funziona, e il cuore del metodo è fare in modo che la gente si senta voluta bene. Lo vediamo qui al Meeting Point: quando le persone arrivano qua, non vogliono più andare via.
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